Dalle gambe di un’armatura si eleva un fascio di materia, che al centro della composizione prende la forma del volto di un cavaliere: per il troppo tempo trascorso nella corazza, il volto appare corrotto e deteriorato. Il corpo, fragile e vulnerabile come quello di un crostaceo privo del carapace, mostra segni di logoramento: gli occhi, ridotti a fessure dalla luce accecante e i denti anneriti, ne rivelano il decadimento. Questa immagine è una metafora dell’incapacità di evolversi, della persistenza dei comportamenti difensivi e delle barriere, che l’individuo erige per proteggersi da presunti mali esterni, in realtà solo riflesso dei propri conflitti interiori.
L’opera interpreta oniricamente la lotta esistenziale dell’individuo con se stesso: un conflitto interiore per il quale l’armatura si rivela un’illusione, un inutile scudo contro le tempeste dell’anima. Qui, il vero nemico non si annida all’esterno dell’io, ma nei suoi inconsci, profondi labirinti.
